Scrivo questo articolo rispondendo alle domande che spesso mi vengono fatte sul Delitto di Cogne. Per redigerlo ho fatto una ricerca dettagliata. Tuttavia sono passati ormai 20 anni e la ricostruzione può essere fatta solamente con gli elementi che sono stati registrati dalla cronistoria. Ritengo che oggi, con le tecnologie esistenti il delitto troverebbe maggiori risposte. Personalmente non ho la certezza che il delitto abbia trovato il vero, o tutti i colpevoli. A mio avviso resta uno dei misteri per i quali non avremo mai una risposta.
Introduzione
Il 30 gennaio 2002, la tranquillità alpina di Cogne, in Valle d’Aosta, fu squarciata da un evento che avrebbe segnato profondamente l’opinione pubblica e la cronaca nera italiana: l’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi, di soli 3 anni, avvenuto nella villetta di famiglia a Montroz. La madre, Annamaria Franzoni, diede l’allarme, ma divenne presto la principale sospettata e, infine, fu condannata in via definitiva per l’omicidio del figlio. Tuttavia, a distanza di anni, il caso Cogne rimane emblematico non solo per la sua tragicità, ma anche per le complessità investigative, le battaglie peritali e i ragionevoli dubbi che alcuni aspetti della vicenda continuano a sollevare da un punto di vista criminologico.
Cronistoria Essenziale del Caso
- 30 gennaio 2002: Alle 8:28 circa, Annamaria Franzoni chiama il 118 chiedendo aiuto per il figlio Samuele, dicendo che “vomita sangue”. Il bambino viene trovato nel letto dei genitori con gravissime ferite alla testa. Viene trasportato d’urgenza all’ospedale di Aosta e poi a Torino, dove muore nel pomeriggio.
- Indagini Iniziali: L’ipotesi iniziale di un malore viene subito scartata. Le indagini si concentrano sull’ambiente familiare, data l’assenza di segni di effrazione evidenti. La dinamica lesiva appare subito violenta e incompatibile con una caduta accidentale.
- 14 marzo 2002: Annamaria Franzoni riceve un avviso di garanzia. Viene formalmente indagata per omicidio volontario.
- Prove Scientifiche: Le analisi del RIS dei Carabinieri rilevano tracce di sangue (appartenenti a Samuele) sul pigiama e sugli zoccoli indossati dalla Franzoni quella mattina. L’interpretazione della natura di queste tracce (schizzi attivi da aggressione vs. tracce passive da soccorso) diventerà uno dei punti focali del processo.
- L’Arma del Delitto: Inizialmente non identificata, viene poi ipotizzato l’uso di un oggetto contundente. Solo tempo dopo, su indicazioni della difesa (basate su ricordi della Franzoni), si ritrova un mestolo/oggetto ornamentale in rame nei pressi della casa, ma le analisi su di esso non forniranno prove definitive e univoche.
- Processo di Primo Grado (Rito Abbreviato): Il 19 luglio 2004, il GUP di Aosta, Eugenio Gramola, condanna Annamaria Franzoni a 30 anni di reclusione per omicidio volontario.
- Processo d’Appello: Il 27 aprile 2007, la Corte d’Assise d’Appello di Torino riduce la pena a 16 anni. La sentenza riconosce l’omicidio volontario ma esclude l’aggravante della crudeltà e concede le attenuanti generiche, ipotizzando un delitto commesso in uno stato emotivo particolare (“delitto d’impeto” in un contesto di stress, ma non infermità mentale).
- Cassazione: Il 21 maggio 2008, la Corte di Cassazione conferma la condanna a 16 anni, rendendola definitiva.
- Esecuzione Pena: Franzoni sconta parte della pena in carcere e parte agli arresti domiciliari, usufruendo di permessi e misure alternative. Ha terminato di scontare la pena nel 2019.
Analisi Criminologica: Elementi a Carico e Ragionevoli Dubbi
Dal punto di vista criminologico, il caso Cogne presenta molteplici sfaccettature che meritano un’analisi attenta, distinguendo tra gli elementi che hanno supportato l’accusa e quelli che hanno alimentato dubbi legittimi.
Elementi a Sostegno della Colpevolezza (Prospettiva dell’Accusa):
- Scena del Crimine “Chiusa”: L’assenza di segni di scasso o di intrusione evidenti ha indirizzato fin da subito le indagini verso l’interno del nucleo familiare. Criminologicamente, in omicidi avvenuti in ambiente domestico senza effrazione, la cerchia dei familiari è statisticamente la più probabile responsabile.
- Presenza Esclusiva (o Quasi): Annamaria Franzoni era l’unica adulta presente in casa al momento della scoperta del fatto e nei minuti immediatamente precedenti (il marito era uscito da poco per accompagnare l’altro figlio a scuola). Questo elemento di “opportunità esclusiva” è stato centrale per l’accusa.
- Prove Forensi (Interpretazione Accusatoria):
- Tracce Ematiche: Le macchie di sangue sul pigiama e sugli zoccoli della Franzoni sono state interpretate dai consulenti dell’accusa come schizzi “attivi”, derivanti cioè dalla violenza dell’aggressione e proiettati sull’aggressore. La localizzazione e la morfologia di alcune tracce sono state ritenute incompatibili con il semplice soccorso. [Fonte: Relazioni RIS Carabinieri, Sentenze].
- Dichiarazioni Iniziali: Alcuni soccorritori e testimoni riportarono una Franzoni inizialmente calma o “stranamente controllata”, comportamento interpretato dall’accusa come non genuino o indicativo di uno shock post-atto, piuttosto che panico da scoperta.
- Mancanza di Alternative Concrete: Le indagini non hanno mai portato all’identificazione di un terzo responsabile plausibile. Le piste alternative (vicini, personaggi esterni) sono state esplorate ma non hanno prodotto risultati significativi.
Elementi di Ragionevole Dubbio (Prospettiva Critica/Difensiva):
- Contestazione delle Prove Forensi:
- Tracce Ematiche: La difesa, supportata da propri consulenti, ha sempre sostenuto che le tracce ematiche fossero compatibili con il ritrovamento del bambino ferito e i tentativi di soccorso (contatto, sollevamento, movimento nella stanza). La scienza della BPA (Bloodstain Pattern Analysis) è complessa e soggetta a interpretazioni diverse, come dimostrato dalle perizie contrastanti presentate nei processi. [Fonte: Consulenze tecniche di parte, Dibattimenti processuali].
- Arma del Delitto: L’identificazione tardiva e incerta dell’arma (il ramaiolo/oggetto in rame), la sua apparente pulizia e l’assenza di DNA o impronte digitali univocamente riconducibili all’atto omicidiario hanno costituito un punto debole dell’impianto accusatorio. Perché un’arma usata con tale violenza non presentava tracce più evidenti o non fu trovata subito?
- Mancanza di un Movente Chiaro e Dimostrato: Sebbene l’ipotesi del “raptus” o di un crollo psicologico dovuto a stress sia stata avanzata (e parzialmente accolta in Appello per ridurre la pena), non è mai emerso un movente classico (economico, passionale, vendicativo) né una chiara condizione psicopatologica pregressa che potesse spiegare in modo inequivocabile un gesto di tale efferatezza. L’assenza di un movente solido è un elemento che, criminologicamente, lascia aperta la porta al dubbio.
- Comportamento della Franzoni (Interpretazione Alternativa): Lo stato di shock può manifestarsi in modi molto diversi. Un’apparente calma iniziale può essere una reazione dissociativa al trauma, non necessariamente un segno di colpevolezza. Le successive manifestazioni di disperazione erano coerenti con la perdita del figlio. La difesa ha sempre sostenuto la genuinità del suo comportamento come madre che scopre il figlio in fin di vita.
- Il “Processo Mediatico”: Il caso Cogne è stato uno dei primi e più clamorosi esempi di “processo mediatico” in Italia. L’enorme esposizione mediatica, spesso orientata fin da subito verso la colpevolezza della madre, potrebbe aver influenzato non solo l’opinione pubblica, ma potenzialmente anche la serenità e l’obiettività di alcuni momenti dell’indagine e del giudizio. Il rischio di confirmation bias (cercare prove che confermino un’ipotesi preconcetta) è sempre presente in casi ad alta visibilità. [Fonte: Analisi sociologiche e mediatiche sul caso].
- Perizie Contrastanti: La battaglia tra periti e consulenti di accusa e difesa su quasi ogni aspetto tecnico (dalla BPA all’analisi psicologica) dimostra come anche dati apparentemente “scientifici” possano essere soggetti a interpretazioni divergenti. Quando esperti qualificati giungono a conclusioni opposte partendo dagli stessi dati, si genera intrinsecamente un margine di dubbio.
Conclusione
Il delitto di Cogne si è concluso, dal punto di vista giudiziario, con la condanna definitiva di Annamaria Franzoni. La giustizia italiana, attraverso tre gradi di giudizio, ha ritenuto provata la sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, basandosi principalmente sull’assenza di alternative credibili, sulla sua presenza sulla scena del crimine e sull’interpretazione delle prove forensi disponibili.
Tuttavia, da una prospettiva criminologica critica, il caso conserva elementi di complessità e ambiguità. Le controversie sull’interpretazione delle prove scientifiche (in particolare le tracce ematiche e l’arma), l’assenza di un movente cristallino e dimostrato, e l’impatto potenzialmente distorsivo del processo mediatico sono fattori che, per alcuni analisti e osservatori, continuano a legittimare l’esistenza di “ragionevoli dubbi”, pur nel rispetto delle sentenze emesse. Il caso Cogne rimane una pagina dolorosa della cronaca italiana, un monito sulla complessità dell’accertamento della verità processuale in crimini familiari e sull’importanza cruciale di un’analisi rigorosa e scevra da condizionamenti di tutte le prove disponibili.